Concerto per viola e orchestra d'archi. È il primo pezzo del Maestro in cui viene lasciata agli esecutori la facoltà di interagire liberamente nella composizione, senza prescrizioni rigide, tranne che nella seconda parte, in forte contrasto con le altre.
“Victoris Laus sembra sgorgato di getto dall’animo a lungo compresso di un musicista ricchissimo, ma che “non ha tempo” di mettere sulla carta quelle idee che frattanto urgono dentro di lui. Divisa in quattro parti, la composizione sfrutta tecniche assai aggiornate e si propone di fornire una visione escatologica del mondo, di tipo medievale. Al breve crescendo iniziale, ben presto rotto in zampillanti “grappoli” nello stile di Penderecki, segue un lungo e intenso monologo della viola solista, alla ricerca di una biblica salmodia. Segue un compianto severo, commentato dai turbati interventi dei bassi, fino a una splendida perorazione collettiva, che è insieme affermazione di generale sofferenza. Sconvolge a questo punto l’inatteso scoppio vocale (affidato agli stessi strumenti), un primordiale cosmico sospiro che si allenta sugli incorporei mormorii delle corde. Altre urla roche e battere di mani immergono l’ascoltatore nella desolazione dell’orrido, una sorta di dantesco inferno, o quadro angoscioso di una umanità accasciata sotto il peso di un tormento insoffribile e senza scampo. Da questo apice della negazione sboccia però nuovamente, nel finale, il canto della viola che, dall’inarticolato tumulto riconduce a una mistica visione di riconquistata, ultramondana serenità, avvolto nella lenta, solenne scansione di tutta l’orchestra. “Victoris Laus” è un’opera grossa, e perciò ci siamo soffermati a riprodurre qualcuna delle emozioni che con tanta immediatezza e chiarezza la musica ha indotto in noi.” (articolo anonimo pubblicato su QUI PADOVA n.23, 17 maggio 1970)
Prima esecuzione: London, 1970